Una storia che vorrei raccontarti - tredicesima parte
"Scusa.."
La ragazza si spostò da quella posizione e tornò a sedersi diritta, senza staccare la spalla da quella del vecchio.
Si voltò a guardarlo, per accorgersi che lui la fissava a sua volta.
Gli sorrise.
Dietro le lenti gli occhi dell'uomo si erano fatti piccoli, studiosi.
Colsero in un istante il luccichio, bè afferrarono il movimento, semplice e repentino.
La luce del lampione stava battendo su qualcosa.
Il vecchio voleva capire a tutti i costi, cercare una pista giusta nella sua memoria ballerina.
Superare la fatica del ricordo, quando l'età è un ostacolo troppo difficile.
"Ti ho cercato perché è passato tanto tempo e ne sentivo il bisogno. Ora sono libera."
Appoggiò il mento sulle mani, sentendosi improvvisamente vuota.
Lo sguardo del vecchio era perplesso.
Lei era forza e delicatezza, era un'esplosione di riccioli, era profumo di sabbia di mare, era un ricordo che non si lasciava prendere.
"Aiutami a capire, perché da solo non ci riesco..." ammise, strofinando entrambe le mani sulle ginocchia.
La ragazza gli posò la mano sulla spalla e il respiro del vecchio si fece più calmo.
Con l'altra mano cercò qualcosa nella sua borsa, ne estrasse una busta e gliela porse, sorridendo.
" Prima di tutto devo darti questa. Vorrei che tu la leggessi."
Le dita ossute esplorarono la superficie liscia, quasi a studiarne i contorni prima di aprirla.
Poi, con gesti lenti, raggiunsero la lettera.
Le labbra si incresparono in un sussurro che percorse le prime righe e si fermò di scatto.
Spingendo più presto indietro gli occhiali il vecchio fissò la distesa del mare e con un sospiro spostò lo sguardo verso la ragazza, che sedeva di nuovo a gambe incrociate, muta e pensierosa.
Quel silenzio gli urlava dentro, andava a ritroso nelle strade tortuose della sua mente.
Tornò all'istante in cui l'aveva vista nella sala d'attesa della casa di riposo.
Non era una coincidenza, o un errore di persona, come aveva pensato fra sé e sé.
Ricordi remoti si stavano muovendo.
Si massaggiò una tempia con fare nervoso, poi fermò la mano sulla camicia, dove il battito di faceva sempre più forte.
Le parole erano conosciute, la calligrafia gli era familiare.
Un improvviso bruciore agli occhi lo ridestò dai suoi pensieri.
Una lacrima scivolò verso il foglio.
La ragazza ne colse con lo sguardo la caduta.
Strinse il ciondolo fra le mani e inspirò forte.
Era certa che lui avesse capito.
Lo specchio di mare che la sera lasciava intravvede era scuro e in movimento.
A suo modo adatto.
La ragazza parlò nascosta dai riccioli.
"Forse sono stata io a confonderti, ma vorrei spiegarti e capire. La lettera era tra le cose che mia madre non mi ha mai permesso di toccare.
Ora lei non c'è più.
L'ho trovata e l'ho aperta.
È tua, si tua..."
Si stupì della tranquillità con cui gli si era rivolta.
Il vecchio annuì con la testa.
Aveva riconosciuto che quella grafia ordinata gli apparteneva, che quelle parole erano sue.
Lasciò cadere le lacrime ad una ad una.
"Ma... è di tanto tempo fa." disse infine, mentre la sua vista incerta gli impediva di mettere a fuoco, di collocare nel tempo.
"Ho cercato il tuo nome per capire dove fossi.
La mamma non mi ha mai detto molto di te.
Poi ho trovato anche la scatola, i regali, i biglietti..."
L'uomo si avvicinò a lei.
"Mi è piaciuto questo."
Indicò il ciondolo, che brillò negli occhi del vecchio.
"È Gemelli...il tuo segno?" chiese, col timore di sbagliare.
Tossì leggermente per ridare un tono alle proprie parole.
"Si..."
Gemelli.
Ricordava che sua madre era dello stesso segno.
Ricordava che di astrologia non aveva mai capito nulla, aveva sempre confuso i tratti distintivi dei segni zodiacali, gli rimaneva oscura la differenza fra segni di aria, cielo, fuoco e terra.
Il vecchio guardava.
Il ciondolo.
I riccioli a cascata, il naso che sbucava da quella massa.
Le ciglia.
Gli occhi verdi, grandi.
Ricordi.
Affioravano dalla palude della sua memoria.
Teneva il foglio sempre più stretto tra le mani, lo scrutava con occhi e mente.
"Ti amo."
Riconosceva in quelle due parole il momento esatto in cui le aveva scritte.
Sentiva la carezza sulla spalla della sua compagna che gli baciava la testa.
"Continua a dirglielo."
Glielo ripeteva sempre.
Avvicinò il foglio agli occhi.
Sapeva anche perché scritto quella lettera, sapeva perché non ne aveva più scritte altre.
Continuava a non capire perché tutto fosse successo.
La ragazza sentiva il battito del suo cuore aumentare, colmando il vuoto di un'emozione mancata.
I dubbi restavano sospesi, li avrebbe rischiarato dopo, adesso non voleva ascoltarli.
Desiderava solo che tutto scorresse con naturalezza.
L'uomo leggeva e rileggeva.
La penombra non aiutava a svelare le parole, ma lui le metteva a fuoco con impegno, lento e sicuro.
Quello sforzo le piaceva, lo scopriva ammirata come un altro regalo inatteso.
"Tu".
La ragazza incrociò gli occhi brillanti, liberi dalla pesante montatura degli occhiali.
Il ciuffo bianco era spettinato, probabilmente da tutta una vita.
Si accorse che l'uomo non aveva completato la frase.
Fissò quel volto nascosto tra le pieghe che il tempo non distende.
Ritrovò il taglio degli occhi, la curva del sorriso, i capelli indomabili.
Ora era sicura.
Gli occhi verdi esplosero silenziosi.
Le mani si infilarono nella borsa.
Il vecchio la osservava curioso, in attesa.
"Continua a dirglielo."
Alzò un istante soltanto gli occhi in direzione delle stelle sopra le loro teste.
"Si, avevi ragione...", pensò.
Tornò a quei momenti difficili, stavolta col sorriso.
Il ricordo di lanciò veloce verso i due figli, li colse in un'immagine di tanti anni prima, mentre giocavano con lui intereminabili partite di calcio balilla nei pomeriggi assolati di un'estate rovente e lontana.
La ragazza cercava nella borsa, i capelli rovesciati indietro, le mani agili e inquiete.
Estrasse un cagnolino di peluche.
Respirò tutta l'aria che poteva per dire tutto d'un fiato.
"Sai come si chiama?", Chiese.
Senza fermarsi, aggiunge "Kyra".
Scandì ogni lettera, solenne e decisa.
Avvicinò la guancia al pelo morbido, rimase ad aspettare.
"Kyra" ripeté lui, toccandosi la fronte.
I suoi occhi erano grandi, quando cercava di capire.
Annuì e sorrise.
Il battito rallentò per un istante, acquistando nel ricordo che di definiva.
"Sono io, papà."
Papà.
Da quanto aspettava di dirlo.
Da quanto lui aspettava di sentirselo dire.
"Tu..."
Gli occhi grandi sorridevano pieni di lacrime.
La ragazza saltellò ancora verso l'uomo, così veloce che quasi gli cadde addosso.
Lo abbracciò forte, stringendo più che poteva, lo baciò sulla guancia aggrappandosi al collo.
"Sono io papà. Sono qui!"
Le braccia ossute la trattenevano per non farla scappare ancora.
Di nuovo.
Affondando il naso nei capelli, il vecchio respirò quel profumo che aveva smesso di cercare.
"Scusami, scusami, scusami..."
L' abbraccio non si allentava, prendeva forza, un viso umido sistemato tra spalla e collo, mani ossute che percorrevano riccioli scuri, occhi e respiri che si ritrovavano.
"Non devi dirmi nulla.
Ho capito quel che è successo. Dispiace anche a me papà."
Il silenzio dell'uomo era dolce.
Quella ragazza lo aveva accompagnato in un viaggio per il quale credeva di non essere pronto.
Era sua figlia, era tornata e lo aveva trovato.
Poteva respirarla, senza fermarsi, a pieni polmoni.
Contemporaneamente, lo specchio di mare tra i piloni rifletteva la luce del lampione.
Arancione.
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