Una storia che vorrei raccontarti - sesta parte

Tutto.
In quelle cinque lettere racchiudeva quello che aveva provato.
Ora gli anni passati erano tanti che quasi non ne ricordava il numero esatto, eppure un angolo nascosto del suo cuore continuava a fare male.
Tutto.
"Iniziai a rifiutare anche il colore che tanto mi piaceva..."
Sorrise amaro, toccandosi la nuca.
Lei lo fissò.
Silenziosa e serena come sempre.
Il vecchio notò che la ragazza aveva incrociato le gambe, come a voler meditare.
Lo sguardo era fisso su di lui.
"Cosa intendi dire? Avevi paura del nero? O l'arancione non ti piaceva più?"
Il vecchio annuì col capo.
"Mi faceva paura, l'arancione...aprivo la porta e mi colpiva ma era come una tela dipinta a metà, graffiata..."
Nuovo sospiro.
La mano sulla sua.
Morbida. Ancora.
Il vecchio di chiese che lavoro facesse la ragazza, quale fosse la sua vita oltre i confini di questa giornata, di questa spiaggia.
Ripensò alla sua visita inaspettata, ai lunghi capelli ricci arrivati improvvisamente a sorprenderlo.
Quella struttura a due piani era ormai era la sua dimora.
Bassa, dignitosa e immersa nel verde delle colline, lo ospitava in attesa di salutare i figli e il mondo.
L'aveva scelta per sè, una e più vite fa, mentre svolgeva il servizio civile in un impeto antimilitarista.
Ricordò la voce dell' infermiera che lo chiamava, a distorglierlo dalla sua antica passione, la cura dei fiori in giardino.
Il sole che entrava di taglio dalle vetrate allungando ombre e riflessi.
E una presenza ,vicino all'ingresso. Una massa di capelli corvini che riempiva l'atrio di colore.
La ragazza gli aveva detto che sarebbe passata a prenderlo, l'indomani, per portarlo al mare, dove gli avrebbe parlato con calma.
Non le aveva detto né chiesto nulla.
Aveva accettato, semplicemente.
Quasi che la sua condizione di anziano non contemplasse altra risposta.
Riprese a parlare.
"Ho provato a ricominciare la vita con un altro arancione, una tonalità più accesa. Sentivo che per non perdermi dovevo ritrovarmi."
Un sorso d'acqua mentre il tramonto iniziava ad annunciarsi.
La ragazza si era coperta le spalle, aspettava solo che il vecchio continuasse.
"Mi piace come mi racconti le cose."
Semplicemente.
"Perché?"
Il vecchio, per la prima volta, le rispose. Per istinti, per curiosità, per dare un senso a quella situazione insolita e gradevole.
La ragazza sorrise a labbra strette, ma sorrise di più con gli occhi verdi e grandi.
"Ricominciai la mia vita prendendo tutte le decisioni di corsa, per paura di accorgermi che stavo sbagliando..."
"Cosa stavi sbagliando?"
Cosa?
"Lentamente, ho perso di vista il mio tutto. Come se mi fossi convinto che doveva andare così..."
La mano ossuta del vecchio si chiuse a pugno sul ginocchio, stringendo con la poca forza che aveva.
"Così...restando senza loro..."
Loro.

Loro.
Erano due.
La mano ossuta continuava a stringere forte il pantalone, sul ginocchio.
Il vecchio pensava agli occhi.
I suoi. Quelli di lei. I loro.
Erano ricordi per nulla annebbiati dal tempo, come fosse solo ieri.
"Ho trovato la mia strada con un'altra persona...e da lì ho ricominciato..."
Pensava a come era riuscito, a scordarla. Rimettendosi in gioco. Scommettendo sui figli, sul lavoro.
Ponendosi tante domande.
Piangendo, lontano dagli altri.
Il colore aveva aperto un nuovo varco nella sua vita, tornando prima a piccoli passi, poi con la forza e la determinazione di non voler sbagliare più.
Lo spiegava alla ragazza sottovoce, quasi bisbigliando tra sé.
Lei ascoltava, muovendo nervosamente le gambe, ancora in posizione da meditazione.
Attorno a loro le ombre iniziavano a farsi lunghe e la tenda di cielo appesa attorno era in parte illuminata dalle luci di un locale.
Si sentiva più delicata la musica, accenno scontato alla serata che stava iniziando.
La ragazza stese le gambe, appoggiandole a terra. Si girò verso il vecchio.
Il vecchio vide che sorrideva; alzando il sorriso da un lato le si disegnava sul bel viso una piccola ruga sbarazzina.
Gli occhioni erano sempre curiosi e con la luce della sera il verde era più intenso.
Gli ricordò un gatto che aspetta.
"Come è andata avanti la tua vita senza di lei?"
Diretta.
"Me la aspettavo la tua domanda..."
Lasciò la frase a galleggiare nell'aria attorno a loro prima di rispondere.
"Mia madre mi ha sempre insegnato a guardare avanti nonostante tutto quello che ci può capitare. E io l'ho messo in pratica.
Sbagliando."
Le sopracciglia della ragazza si aggrottarono un istante per rilassarsi subito dopo.
"Hai sbagliato? Che cosa? Non capisco..."
In silenzio, posò la mano sulla sua spalla.
Sembrava turbato, il vecchio, mentre giocava con i denti del pettinino di osso.
"Capita di sbagliare sai, ma lo sbaglio più grande che si può fare è rimanere in silenzio e aspettare, o forse sperare, che tutto si sistemi da solo...che il telefono suoni..."
Il calore della mano era ancora sulla spalla, faceva affiorare pensieri.
Le vetrate della sua ultima dimora, di nuovo.
Poi i suoi due figli, grandi e genitori a loro volta. Tutta la strada che aveva percorso. Il mare.
Pensò al mare, lo stesso di ora ma diverso, un altro, nello slancio di tutti quei ricordi che affioravano.
"Il mio colore non era composto da un solo arancio...erano due."
Smise subito di parlare dopo aver detto velocemente quella frase.
L'indice sfiorava rapido i denti.
I suoi due figli si erano costruiti il loro cammino e nonostante tutto erano molto legati.
Sentì umido lungo le rughe.
Piangeva, ormai era ora di lasciarle scorrere.
Il verde intenso degli occhi della ragazza iniziò a brillare nell'imbrunire.
"Scusa, devo essere buffo da vedere..."
Lo disse singhiozzando. Non aveva più voglia di tenerle dentro.
Guardandolo più intensamente lasciò che brillasse in controluce anche la ruga sbarazzina sul bel viso.

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