Una storia che vorrei raccontarti - settima parte

Due arancioni.
Lo stesso colore.
La stessa intensità ma con sfumature tanto diverse da poterli vivere separatamente.
Sembrava strano ma era veramente così.
Suo padre.
Sempre in ordine, impeccabile, anche quando il vento scompigliava i capelli.
In questo ricordo si era perso il vecchio, ascoltando il pettinino di osso che suonava.
A un tratto lo ripose nel taschino della camicia.
Nello stesso istante arrivò la mano della ragazza a spettinarlo, di nuovo, rapida come il dispetto di una bambina.
E assieme, la sua risata.
Rise anche lui, trascinato in quell'improvviso momento di serenità.
"Non mi sono mai piaciuti i capelli in ordine. Quando sono un po' lunghi bisogna lasciarli liberi di andare."
Arancione.
Due.
Tonalità diverse, una oscurava l'altra.
"Perché mi hai seguita qui al mar senza pensarci? Avrei potuto portarti in qualunque altro luogo..."
Era vero.
Eppure la sua risposta positiva era stata immediata.
Gli era bastato guardarla per accettare.
Il solito gabbiano pigro li raggiunse, per posarsi davanti a loro.
Per sentire quante sfumature avesse l'arancione.
Passandosi la mano sui capelli, il vecchio ricominciò.
"Si riparte sempre da un punto fermo. Un cardine. Ho fatto così anch'io.
Avevo un contesto particolare..."
Il racconto si spezzò in una pausa affannosa.
La ragazza posò le mani sulle ginocchia, il gabbiano piegò di lato la testa.
"Stavo ricominciando ad amare, ma lei restava dentro di me."
D'istinto, si toccò il cuore con una mano.
Lì, dove non era mai andata via.
"E sai una cosa? Più passavano i giorni, più mi riempivo di foto, ricordi, ritagli di una vita che scivolava via."
Le rughe si annacquarono ancora un po'.
L'increspatura sbarazzina sul volto della ragazza sembrava ancora sorridere al vecchio, che si asciugò con il palmo la guancia.
Inutile.
In quel momento non si poteva fermare nulla.
Il gabbiano piegò la testa dal lato opposto.
Non volava via.
Troppa la voglia di ascoltare.
"Sai dove ho sempre trovato e vissuto il mio arancione?"
Chiese ad un tratto.
La ragazza fece no con la testa.
Gli occhi verdi grandi, curiosi.
Attorno a loro la città iniziava la serata coi rumori che un tempo al vecchio erano familiari.
"Nelle foto.
Quelle immagini ferme che riempiono il computer. A lungo ho sperato che mi parlassero..."
Lo aveva sperato ogni volta che accendeva il suo PC. E di quell'arancione a due sfumature aveva messo a conoscenza da subito i due figli.
"Eppure quelle immagini sono rimaste in silenzio."
Singhiozzò.
E in quel singhiozzo fragile la sua spalla parve più cadente.
La ragazza si sollevò.
Due passi e togliendosi le scarpe tornò sulla sabbia.
Al vecchio sembrò che, stiracchiandosi, volesse raccogliere tra le sue braccia allargate gli ultimi raggi di sole.

La ragazza abbracciò il tramonto.
Sereno, il vecchio la osservava.
Si voltò verso di lui, liberando la ruga sbarazzina.
Da bambino gli dicevano che aveva la faccia da furbo.
Una generosa dose di senno di poi gli suggeriva invece che non lo era stato abbastanza.
Lo guardò sgranando gli occhi.
"Perché dici che non parlavano?"
Sembrava non aspettasse altro che quella risposta. Il vecchio, però, non riusciva a trovarla.
"Hai mai fatto loro le domande giuste?"
Il vecchio rispose.
"Sempre, ogni volta che le guardavo, quando arrivava la sera. Pian piano ho smesso. Mi faceva troppo male."
La ragazza si era nuovamente seduta al suo fianco e aveva iniziato a guardare il cielo, le stelle appena accennate.
Osservò il volo distratto di un altro gabbiano; era imprevedibile e armonico anche a quell'ora della sera.
"Mi faceva male perché poco prima avevo tutto e mi sembrava di essere un padre migliore..."
"Cosa intendi dire?"
Gli chiese la ragazza, d'istinto.
"Che nel mio arancione c'era lei ma c'era anche un'altra lei, piccola, dolce, mia..."
"Tua?"
Annuì col capo.
Erano passati anni, e quel baule rimasto chiuso nella sua soffitta aveva preso troppa polvere.
Aveva sempre raccontato di sé con tutti, senza vergogna, ma c'erano cose che, a dirle, gli sembrava volassero via per sempre.
Non più sue.
Nonostante la memoria avesse a volte stravolto parte dei suoi ricordi così lontani, quello era vivido.
"Sai, ho cercato di sentirla sempre più mia...disegnando...disegnandone il viso, qualche dettaglio."
La ragazza appoggiò il mento sul palmo della mano e gli si fece più vicina.
Aveva tutta la sua attenzione, adesso non c'erano più gabbiani, pontili, luci della sera e voci.
Erano solo loro due, panchina e sabbia.
Il vecchio provò a leggere lo sguardo della ragazza.
Lei sbatté velocemente le lunghe ciglia e gli offrì ancora i grandi occhi verdi.
"Disegnavi bene?"
Le sue domande.
Sempre dirette, mai scomode.
Il vecchio rispondeva volentieri.
Nei dintorni del suo cuore sentiva che la fiducia verso quella ragazza era ben riposta.
"Fai tante domande..."
Lo disse sorridendo divertito.
Ricambiò, un po' intimidita.
Per la prima volta notò il sorriso da nonno del vecchio.



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